I giovani del bar mi parlano del fenomeno dello spaccio che sempre più spesso finisce sulle pagine dei giornali, piegato a fenomeno politico.
È interessante questa condanna violenta del fenomeno dello spaccio.
Esiste questa curiosa tendenza, eufemismo, a non correlare la vendita con l’acquisto. A non correlare il povero, spesso nero, che vende, con il bianco che compra.
Come se si fosse tornati indietro nella storia dell’economia, ai tempi della legge degli sbocchi di Say, secondo cui è l’offerta a determinare la domanda. Legge ampiamente smentita dai fatti, purtroppo, in un contesto di capitalismo puro quale è il nostro.
Solo pochi anni fa una campionatura delle acque del Po ha mostrato come esso sia il fiume più inquinato d’Italia: dalla cocaina.
La domanda: quella non dà fastidio
Dalle ricche colline scendono le fogne che portano nel Po cocaina in quantità industriale. In questi quartieri che consumano ciò che gli altri vendono non si manifesta il mito del “degrado”. La domanda: quella non dà fastidio.
Circa tre anni fa, nell’agiata pre-collina, dei giovani occuparono una caserma, un tempio della Resistenza al nazifascismo peraltro, abbandonata da anni. Ci portarono dentro i migranti che nessuno vuole, come il vecchietto della canzone di Domenico Modugno. L’occupazione durò un mese, poi fu sgomberata. I neri tornarono da dove erano venuti: dai quartieri dei poveri.
Ora è abbastanza chiaro il manifestarsi di una divisione di classe in tutto ciò.
l’analisi di classe cede il posto all’analisi di razza
Aurora non è il quartiere dove vive Cristiano Ronaldo: Borgo Po è il quartiere dove vive Cristiano Ronaldo.
Ma, ancora una volta, l’analisi di classe cede il posto all’analisi di razza.
I marxisti, una corrente tra le mille, si infervorano quando sentono parlare di “esercito di riserva” relativamente ai migranti che arrivano in Italia. Premesso che è innegabile che essi facciano i lavori che gli italiani non hanno più voglia di fare – raccoglitori di frutta, manovali, assistenti di vecchi, spacciatori di cocaina per ricchi consumatori – e ad un costo decimato rispetto al passato, essi, i marxisti che si inalberano, sostengono che in ogni contesto esiste un esercito di riserva, perché è il capitalismo che lo crea e non i processi migratori.
Ma, a questo punto, non si comprende il perché di una battente retorica sulla relazione tra migranti – prodotto interno lordo – sistema pensionistico. Con una pulsione particolarmente geometrica laddove i lavoratori poveri, cioè i migranti africani o di altri luoghi del mondo, sarebbero, sono, coloro che “pagano le pensioni agli italiani”.
Locuzione che ben inquadra l’ideologia sfruttatrice tanto candida quanto intrinseca. Dicono proprio così: “i migranti servono – servono, attenzione – a pagare le pensioni degli italiani”.
Ma una politica pro migranti, seria, non può essere fondata sul verbo “servire”. Soprattutto non può sorvolare su un processo che oggi, in talune porzioni del territorio occidentale, sfida la “legge della impenetrabilità dei corpi”.
Di fronte alla fabbrica distrutta di Aurora, in nome di un ridicolo e perdente passaggio dalla manifattura all’economia immateriale, che ha prodotto stratificazioni di povertà crescente, la risposta corretta è data dall’aggiungersi di nuovi strati di poveri? In nome di cosa? Di una solidarietà di classe inesistente?