Folle di un mondo folle

La prospettiva è molto più profonda e ardita di quanto il singolo punto, ovvero l’opposizione al tunnel di base della Torino-Lione, lasci supporre.
Il nodo è strettamente ideologico, nel senso più puro del termine. In Val Susa, come in Puglia, a Genova e nell’entroterra ligure sta dilagando una nuova ideologia fondata sulla pianificazione economica… e qui manca l’aggettivazione.
Si potrebbe inquadrare facilmente con la “decrescita”, ma questa parola evoca simboli insuperabili. E’ inutilizzabile, è dannosa.
L’evocazione di un nuovo modo di vedere la vita, quanto meno nell’occidente ormai ipertrofico e ultrasviluppato, avanza ma è privo di parole, di storie, di esempi, di orgoglio.
A meno di piccoli punti, che possono essere avanguardie, manca la prassi diffusa: l’orgoglio che porta a una rivendicazione di massa.

passa da ideologia a narrazione a storytelling

L’evoluzione storica che passa da ideologia a narrazione a storytelling ha azzerato il nostro lessico famigliare, lasciandoci in un punto della storia privi di parole.
Come in quegli incubi in cui si vuole urlare ma le parole non escono.
Così sui media di massa, compresi i famigerati social che altro non fanno che rendere ridondante il messaggio che nasce sulla carta stampata e sulle televisioni, erompe una reazione laddove non vi è stata alcuna rivoluzione.
Sarebbe stato interessante domandare, a quella piazza che chiede sviluppo e auspica che i cittadini della Val Susa se ne vadano con mucche e pecore da qualche parte, cosa pensano del riscaldamento globale.
Sicuramente buona parte di essi avrebbero sgranato gli occhi preoccupati, manifestando vivo sconcerto e sincero terrore per il realizzarsi, in tempi assai più celeri di quanto avvenuto, dei peggiori scenari climatici ed ecologici.
Sabato mattina, in piazza Castello, si poteva stare tranquillamente in giacchetta: al dieci di novembre, a Torino, come se fossimo stati a fine aprile. E in una giornata piovosa.

l’architrave su cui poggia l’impalcatura del surriscaldamento climatico

Tutti i mezzi di informazione di massa sono passati, con soluzione di continuità, dalla denuncia della catastrofe ambientale a Belluno e in Sicilia – unanimemente imputata ai cambiamenti climatici – alla richiesta perentoria di nuovo sviluppo infrastrutturale, nuovo commercio, nuovo mercato, nuovo capitalismo, nuova trasformazione natura-capitale-forza lavoro- immondizia. Ovvero l’architrave su cui poggia l’impalcatura del surriscaldamento climatico.
In quella piazza, gremita allo spasimo, si aveva la sensazione di vivere in un mondo folle, che non sa cosa vuole.
Che vuole sempre più cose da commerciare a tutta velocità, per essere prontamente gettate nell’inceneritore o in una discarica, ma al contempo vuole fermare i cambiamenti climatici affinché le prossime generazioni non debbano vivere in un inferno dantesco.
Peraltro già presente qui ed ora.

 

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