La speranza di De Luna

Nonostante gli accorati appelli, nonostante le campagne mediatiche vagamente terroristiche – a ragione evidentemente – sui cambiamenti climatici irreversibili in cui viviamo, non abbiamo il coraggio di entrare in una fase successiva.
Troppa fatica.

troppa fatica

Dopo la doverosa denuncia ci si ferma ad un mordace auspicio che: gli esseri umani divengano improvvisamente più sensibili. I governi intervengano. La tecnologia salvi l’umanità con qualche gioco di prestigio.
Delle tre, la seconda è particolarmente misteriosa, enigmatica: forse si intende una pianificazione, parola impronunciabile, economica mondiale: fondata sulla decrescita, parola impronunciabile bis.
Una capriola della storia che porterebbe, niente meno, alla riscoperta dei piani quinquennali sovietici? Ovvero poche merci e, al massimo, un capitalismo di stato minimo.
Tutti gli accordi successivi agli accordi di Rio prima, e Kyoto poi, arrivando fino a Parigi, hanno sempre avuto la stessa caratteristica: la refrattarietà a ogni tipo di pianificazione fondata sulla limitazione dei consumi di combustibili fossili e non solo.
Il mondo non vuole sentir parlare del concetto di limite: d’altronde siamo tutti figli dei tempi in cui era “vietato vietare”.
Le alternative al governo mondiale fondato su tali limitazioni, traducibili in soldoni – per chi se li ricorda – in uno stile di vita simile a quello dei tempi dell’austerity, non sono reali.
Smaterializzazione economica fondata sulla miniaturizzazione dei manufatti?
Passaggio dall’economia materiale a quella della conoscenza?
Passaggio dalla proprietà privata all’accesso?
Internet delle cose?
Se ascoltiamo la piazza di sabato mattina possiamo escludere tutto questo.

Loro vogliono…

Loro vogliono proprio le cose, la roba, la proprietà, il commercio libero di tutto.
Eppure, proprio dalla Val Susa, nonché da tutti gli altri territori che tentano di resistere alla logica del gigantismo merceologico, all’obesità infrastrutturale, giunge la speranza che l’inevitabile cura dimagrante possa avvenire su un piano di coscienza attiva, anziché su quello dell’incoscienza passiva: e rancorosa.
Una scelta, al posto della inevitabile prossima imposizione coercitiva.
Ma quella valle, e quei territori, quei pensieri vengono derisi, i loro abitanti invitati a “spostarsi in un’altra valle con le mucche e le pecore”, ridacchiando: e tutto questo viene definito da uno storico come Giovanni De Luna, ex Lotta Continua, su le pagine de La Stampa: “una speranza”.

 

 

Maurizio Pagliassotti